Progetti di sviluppo ampliati nel turismo. Inchiesta. La mamma dei cammelli.

Ora i Maasai mi chiamano “mama ngamia”, in swahili “la mamma dei cammelli”. Una bella soddisfazione per una arrivata per aiutarli a progettare viaggi che rispettassero tradizioni e natura. 

Vivendo con i Maasai ho scoperto un popolo che tramanda la cultura oralmente, gentile, comunicativo, che non conosce il rancore, l’odio, la gelosia.. E ho capito che non c’è bisogno di essere un “medico senza frontiere” per migliorare un poco il mondo: con un viaggio equo tutti possono conoscere culture e aiutare comunità diverse. Proprio quello che dice l’Associazione italiana turismo responsabile: ci sono viaggi da cui si torna più ricchi. E’ questo lo slogan della Campagna Turismo Equo, un’iniziativa delle ong con tanti appuntamenti, pubblicazioni, idee su viaggi diversi: divertenti, sicuri, a costi contenuti, che migliorano un poco per volta la condizione di povertà, dando lavoro ai locali e rispettando l’ambiente.

Perché il solito turismo deve cambiare. E il mio è solo un piccolo esempio. Sono andata in Tanzania con l’Istituto Oikos, una ong che opera per conciliare la tutela dei grandi parchi nazionali con lo sviluppo economico e sociale dei pastori Maasai e degli agricoltori Meru. Lì biologi, zoologi, ecologi ed ingegneri stanno realizzando un programma di sviluppo integrato nell’area del Monte Meru, in collaborazione con il Parco Nazionale di Arusha. In particolare, si occupano di monitoraggio della grande fauna, ma anche di antibracconaggio, di produzione di carte dei villaggi, di realizzazione di piccoli acquedotti, di supporto all’artigianato e, soprattutto, di formazione -corsi per guardaparco, per guide turistiche, per allevatori- importantissima per i locali.

Il mio compito? Rendere la comunità Maasai autonoma nella gestione della loro attività turistica col minor impatto possibile, sia ambientale che culturale e con uno standard di sicurezza e comodità da visitatori occidentali. A questo proposito l’idea dei cammellieri nomadi era perfetta: i “safari a modo loro e a casa loro”.

Ma, fatte brochures, lezioni di igiene e di inglese, come organizzarli?

Non mi restava che sperimentare personalmente: perciò sono partita a piedi, con il capo villaggio Isaya e la guida Kapunè, dormendo nei Boma – i villaggi tradizionali fatti di capanne di fango- che incontravamo lungo il cammino, o sotto le stelle in mezzo alla savana. Ho incontrato Maasai che non avevano mai visto un bianco, ho fatto la doccia sotto la pioggia, protetta solo dall’esperienza dei miei compagni. La nostra “spedizione multiculturale” ha “misurato” acqua e cibo necessari ad un gruppo di turisti, ha verificato i punti nei quali accamparsi, dove può arrivare una macchina per emergenze e dove funziona il satellitare o la radio.

Così sono nati diversi itinerari che lasciano stupefatti i turisti: come i safari a piedi o a dorso di cammello, perché solo così si vedono gli animali, negli spazi sconfinati del bush, con il vulcano attivo, la montagna sacra dei Maasai, sullo sfondo e le notti ad ascoltare leggende.

Ma non solo cultura e ambiente: come in tutti i viaggi responsabili, anche aiuto diretto. Perché partecipando alle iniziative del Mkuru Camel Safari Group ogni viaggiatore contribuisce alla lotta contro la povertà del villaggio. Infatti nella quota di partecipazione è inclusa una development fee che viene devoluta alla comunità per iniziative come riparare la scuola o migliorare la diga.

Allora, cosa c’è di più utile di un viaggio “equo”?

INFO:

www.mkurucamelsafari.com

www.istituto-oikos.org
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dall'articolo di Iaia Pedemonte Pubblicato su GEO 2007 (riproduzione vietata senza autorizzazione)

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